24-04-2015

Nordic cuisine? Morta. E l'Italia...

Colloquio con Christian Puglisi, lo chef che "osa" persino produrre mozzarella in Danimarca

Christian Puglisi, chef sicuro-norvegese. Ha tre l

Christian Puglisi, chef sicuro-norvegese. Ha tre locali a Copenhagen, dopo essere stato secondo di Rene Redzepi al Noma

Mozzarella danese? Un fremito di disgusto percorrerà i benpensanti. Ahiloro! Perché il mondo evolve e chi si crogiola nella grandezza della propria tradizione onora (giustamente?!) il proprio passato, assapora il presente ma non costruisce il futuro; rinunciare alla ricerca, all’evoluzione significa attardarsi nella celebrazione di quel che c’è, mentre il mondo intero pregusta anche quel che ci sarà. Non occorre rinunciare alle proprie radici, ma consentire all’albero di produrre nuovi germogli.
 
Per questo Le Strade della Mozzarella ci sono piaciute e diciamo grazie ad Albert Sapere e Barbara Guerra (e ad Antonio Lucisano, direttore del Consorzio Mozzarella di bufala campana) per l’intelligenza con la quale organizzano il tutto. Non hanno immaginato la kermesse come semplice passerella per l’eccellenza dell’oro bianco di Paestum, ma l’hanno aperta alla sperimentazione. Così abbiamo conosciuto percorsi innovativi, come quello che conduce Matias Perdomo a immaginare interessanti mozzarelle stagionate, ne abbiamo parlato qui. E abbiamo seguito con attenzione l’intervento dell’siculo-norvegese Christian Puglisi, quello della mozzarella danese, appunto.
 
Il personaggio ha bisogno di poche presentazioni. Ex del Noma di Copenhagen, 31 anni, da cinque ha avviato un proprio personale percorso che l’ha condotto al successo col suo Relæ, sempre nella capitale danese. Il suo intervento alle Strade (dove ha filato live dei bocconcini “che farcisce con yogurt e panna di bufala, appena conditi con olio extravergine e pomodori a dadini. Al primo morso, esplodono in tutta la loro golosa ricchezza ricordando il piacere istintivo dell’addentare una mozzarella sporcando se stessi e chi è vicino con il suo latte”, scrive qui l'ottima Luciana Squadrilli) è stato preceduto da questa bombastica intervista rilasciata a Munchies, il canale food di Vice, mensile canadese di nascita ma ormai diffuso su tutto il globo terracqueo. Tanta carne al fuoco, meritava un’ulteriore chiacchierata con Identità Golose.
 
Assaggi di salumi "italiani" al Bæst di Copenhagen 

Assaggi di salumi "italiani" al Bæst di Copenhagen 

Puglisi, nel tuo nuovo locale, Bæst, aperto nello scorso ottobre, servi cucina italiana. Hai parlato di “ritorno alle tue radici”. Un cambio di prospettiva?

«Da tempo pensavo di avvicinarmi alla tradizione del mio Paese d’origine. Non volevo farlo col Relæ: lì volevo segnare il distacco dal Noma e scandire la mia evoluzione. Oggi che ho affermato la mia identità posso permettermi di guardare oltre. Sono più consapevole e libero. Dell’Italia non m’interessa tanto la cucina autoriale, quanto l’artigianalità, i prodotti della filiera agroalimentare: i salumi, i formaggi, la pasta. Totale semplicità. E’ a questo punto che mi sono imbattuto nella mozzarella. E mi son messo a studiare».

E cosa hai trovato?

«Intanto, quello che già si sa: è un formaggio presente in tutto il mondo, ma che dipende molto dalla materia prima con la quale è realizzato. C’è un abisso tra la buona mozzarella e l’altra, e molto dipende dalla freschezza. Ho pensato: se apprendo i migliori metodi di produzione e uso latte di qualità, posso produrre una pasta filata anche in Danimarca, dove dispongo di latte eccellente munto da non più di 24 ore. Quindi la scelta è stata di non importare qui il prodotto, che non può giungere con la qualità iniziale, ma lo studio, la ricerca, la tecnica. E di fare dunque una mozzarella danese che rinunci a competere con quella campana, non sarà mai una “vera mozzarella”, ma una mia mozzarella, di qualità diversa perché esprimerà il territorio dalla quale nasce».
 
Compi la stessa operazione con i salumi, produci in proprio prosciutti, addirittura la ‘nduia…
«Il mio vuole essere un viaggio continuo. Da piccolo, con la mia famiglia ho preso un treno per la Danimarca. Poi ho viaggiato dal Noma verso il Relæ. Oggi verso le mie origini».
 
“Dal Noma verso il Relæ”, dici. Hai parlato di “morte della Nordic cuisine”…
«Per me è lo sviluppo l’unico segno di vitalità. Qui a Copenhagen la cucina ha percorso strade nel segno di una svolta radicale, ha acquisito una grandezza che le ha consentito di sviluppare un fiorente turismo gastronomico. Oggi questa evoluzione è finita, ormai la ricerca sul territorio non ha più sbocchi ulteriori, gli chef cercano percorsi personali, non più “geografici”. La Nordic cuisine si trova al supermercato, è standardizzata. Il futuro è altrove».
 
Dove? 
«Nella ricerca sull’organic food, in primis. Il Relæ è il primo ristorante stellato al mondo ad avere una certificazione in questo senso: qui da noi tutto è perlomeno bio. L’altra direzione è quella che ho intrapreso con Bæst. Credo che il lavoro che ho fatto sulla mozzarella dovrebbe essere compiuto anche in Italia…».
 
Filatura della mozzarella danese al Bæst di Copenhagen: oltraggio alla tradizione?

Filatura della mozzarella danese al Bæst di Copenhagen: oltraggio alla tradizione?

In che senso? Hai detto: “L’autenticità non deve avere confini geografici. (…) In Italia esiste un conservatorismo autoreferenziale che impedisce l’evoluzione: si protegge la tradizione a tal punto che si sbarra la strada al miglioramento”.
«E’ proprio così, a mio avviso. Il contesto italiano è viziato dalla disponibilità abbondante di materia prima di altissima qualità. Così gli artigiani rimangono fermi, i loro prodotti sono eccellenti ma a volte troppo semplici».
 
Semplici? Ma non hai detto che al Bæst vuoi servire piatti semplici?
«Voglio servire piatti semplici, partendo da materie prime e prodotti eccellenti ma complessi, che derivino da un grande lavoro di ricerca e innovazione compiuto dall’artigiano, in sinergia con lo chef. I dogmi non devono esistere. Chi si ferma per proteggere l’esistente uccide il proprio futuro».
 
Al Bæst servi anche la pizza…
«Credo che non abbia senso servire la pizza in un ristorante d’alta cucina come il Relæ. Al Bæst sì: il menu degustazione prevede due assaggi di pizza, due spicchi diversi. Scelgo in questo caso una via di mezzo: non contesto la tradizione, voglio capirla, ma voglio anche cambiare la percezione della pizzeria. Lo sviluppo possibile è nei dettagli, nell’impasto, nel topping. Non voglio “nobilitare” la pizza, ma accettarne la naturale rusticità non significa rinunciare alla qualità. Ciò che deriva dal pensiero, dalla ricerca, va bene. L’energia è importante, il nuovo artigianato deve essere vivo».
 
Vengo al Bæst: che pizze potrò degustare?
«La prima è un omaggio alla tradizione, una semplice margherita. Poi ne propongo una bianca: pecorino, funghi e porri, oppure ricotta e acciughe. Dipende dalla stagione, dal mercato. Mi piace togliere il pomodoro, consente una maggiore innovazione. In tutto il mondo esiste un pane schiacciato cotto ad alta temperatura, da condire a piacere. Poi ci metti il pomodoro e finisci subito nella tradizione italiana. Con i suoi vincoli». Che a Puglisi non piacciono affatto, non si fosse capito. 

Carlo Mangio

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La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

a cura di

Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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