27-06-2013

La cucina degli amori impossibili

Nell'ultimo Perrone, Romeo e Giulietta si amano e si odiano tra fuochi, ricette e stelle Michelin

Roberto Perrone, classe 1957, genovese di Rapallo

Roberto Perrone, classe 1957, genovese di Rapallo (e milanese di adozione), giornalista sportivo, prima al Giornale e poi al Corriere della Sera, per il quotidiano di via Solferino cura anche la rubrica golosa Scorribande. Scrittore, il suo ultimo romanzo, La cucina degli amori impossibili per Mondadori, è ambientato nelle cucine di due ristoranti le cui famiglie proprietarie sono in lotta tra loro per la supremazia a livello di guide e di opinione pubblica. Come Montecchi e Capuleti. Ma con un finale diverso...

Roberto Perrone, genovese di Rapallo, tifoso del Grifone rossoblù, appassionato di pallanuoto, giornalista prima al Giornale e poi al Corriere della Sera, sempre in forza alla redazione sportiva. Non solo questo ormai. Da qualche anno cura, ogni sabato in via Solferino, una rubrica golosa che ha intitolato Scorribande perché in eterna ricerca del meglio che l’Italia sa offrire.

E come c’è un Perrone giornalista, da una decina d’anni c’è un secondo Perrone scrittore. Nel 2003 il primo romanzo, intitolato Zamora prendendo a prestito il mito del portierissimo spagnolo Ricardo Zamora Martinez. Ora è la volta de La cucina degli amori impossibili per Mondadori, nel quale ha riversato il suo essere goloso e non più il suo io sportivo. “Due cuori e due cucine. Amori e (dis)sapori tra i fornelli di due ristoranti d’eccelleza”, è scritto sul retro di copertina di un romanzo che prende spunto da Romeo e Giulietta per arrivare a un finale che non è dolce, ma per fortuna nemmeno tragico. Originale questo sì e lascio al lettore il piacere di scoprirlo.

La cucina degli amori impossibili anche se non c’è una sola cucina, bensì due che a un certo punto diverranno addirittura tre. Più cucine come più amori, tutti impossibili perché, pagina dopo pagine, vediamo intrecciarsi i destini di due famiglie, sentimenti negativi vissuti in una paese ligure, odi che una metropoli avrebbe probabilmente annacquato. Il borgo invece li estremizza, soprattutto in un senso.

Perrone ha chiamato i suoi Montecchi e i suoi Capuleti Cavasso e Maggiorasca, staccando Augusto Cavasso dall’Italia per inviarlo negli Stati Uniti a giocare a basket. Gioca così bene, fino a diventare una stella della Nba, per dimostrare che non ha bisogno di seguire le orme del padre, sommo ristoratore, per affermarsi. Non è mai facile essere il figlio del migliore se si decide di imboccare la stessa strada. E non nemmeno facile essere un secondo in cucina se si ha abbastanza qualità per coltivare il sogno di staccarsi, aprire un locale e puntare al top. E’ quanto fa Vittorio Maggiorasca, bravino, a volte bravo, mai bravo bravo. Un eterno numero due: “Una vita da ottimo secondo che non sarebbe diventato mai primo, ma che non era capace di stare calmo al suo posto”. La serie B gli andava stretta e la A larga, lo scudetto una chimera.

Muovendo da questa realtà-contro, Perrone fa salire sullo stesso volo America-Italia il cestista e Rossella Maggiorasca, ristoratrice come il padre. Non si conoscono e ci vuole poco perché si innamorino già sopra l’oceano. Tornati all’atterraggio con i piedi a terra (e la testa ancora tra le nuvole per via di Cupido), la verità emerge immediata ed è un piacere leggere Roberto fino all’ultima pagina, capitoli scanditi anche da una decina di piatti di alta cucina, presi in prestito dall’autore ai vari Cuttaia, Scarello, Santini, Iaccarino, Sultano, Carbone, Buonocore, D’Amato...

Il cannolo siciliano offerto da Pino Cuttaia alla presentazione milanese del romanzo di Roberto Perrone. Il titolare della Madia a Licata è uno degli otti chef che hanno profumato le pagine del libro con una loro ricetta

Il cannolo siciliano offerto da Pino Cuttaia alla presentazione milanese del romanzo di Roberto Perrone. Il titolare della Madia a Licata è uno degli otti chef che hanno profumato le pagine del libro con una loro ricetta

Mi sono appuntato alcune frasi che possono avere una vita loro, prescindendo dal romanzo. Ne riporto due, a iniziare da Augusto con Rossella pensando al babà di lei, un piatto della tradizione napoletana realizzato vicino Genova, quindi estraneo: “Ottimo. Ma non lo metti in carta?”. Lei: “Mio padre sulle novità è un po’ recalcitrante”, destino comune a migliaia di cuochi anche per i mondi con i quali entrano in contatto e che vanno a cozzare tra loro.

Cesare Cavasso, il tiranno, in famiglia e al ristorante, dirà invece di se stesso e dei suoi colleghi: “Io sono Colombo, per tutti questi mediocri. Io ho una visione. Fosse dipeso da loro saremmo rimasti ancorati a un vecchio modo di intendere la ristorazione. (…) Il segreto è il sistema. Perché i francesi si vendono meglio di noi? Perché sono uniti e perché riconoscono la leadership dei migliori”. Verità assoluta.

E ancora: “Qui da noi ci si butta via in inutili democrazie, in futili confreonti da pari a pari. Io non sono pari a nessuno. Ognuno deve fare la sua strada, livelli diversi, però medesimo obiettivo Elevare la qualità, conquistare mercato”. Ma “gli italiani - come diceva Enzo Ferrari -, perdonano tutto tranne il successo”. Purtroppo è ancora così. Troppi amori impossibili.


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a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
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