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Identità Golose

Il dessert: l'importanza dell'effetto

 

Il dessert è il momento fondamentale del pasto. È l’ultima nota che suoni al cliente, e per questo la più importante da eseguire. In un menu degustazione non si deve mai steccare. Meno che mai all’atto finale perché se sbagli il dolce rovini tutta la serie, magari anche perfetta, delle pietanze venute prima. Mai chiudere un grande pranzo con un dolce mediocre. Allora a quel punto ha più senso fare male tutto. Io dico sempre che il dessert sta al ristorante come la colazione sta all’albergo: vietato sbagliare l’ultimo passaggio. Sennò il cliente se ne va con l’amaro in bocca. E non tornerà più, puoi starne sicuro.

 

Credo che per fare un dolce come dio comanda occorra innanzitutto essere dei golosoni. Ti devono piacere da impazzire perché non puoi andare a pescare svogliato: se non ti va di farlo, non tirerai mai su nulla. Io sono golosissimo di dolci da sempre. Colpa di Napoli e dei suoi vicoli. Ogni strada trasmette un profumo che da bambino mi faceva cambiare direzione. Perché a sud la pasticceria è una cosa seria: le fragranze dei prodotti freschi vincono sugli umori della pasticceria secca, prevalenti al nord. E ti mettono in difficoltà, ti tolgono la concentrazione. Quando poi da piccolo sedevo a tavola, battevo tutti i record nel divorare antipasto, primo e secondo. Perché alla fine dovevo mettermi qualcosa di dolce in bocca, fosse anche solo un confetto. Sennò il pranzo non era completo. Il dolce doveva arrivare in fretta. Era il mio digestivo, la mia tisana. Allora sì che potevo finalmente godere.

Per imparare a cucinare i dessert bisogna prima di tutto applicarsi assai nel trovare una certa manualità. Io ho iniziato a fare pratica da piccolo: ho assemblato decine di torte alte due metri. E le faccio tuttora perché è un esercizio che mi diverte. Tempo di realizzazione, un’ora e mezza ciascuna. Ho imparato da mio padre, che negli anni Ottanta scolpiva sculture di margarina a grandezza naturale. Vere opere d’arte, come i dessert che faceva. Con la sua Delizia al limone raccolse un prestigioso premio nazionale. Il suo segreto? Staccava il limone dalla pianta con le sue stesse mani. Perché è fondamentale saper riconoscere la materia prima perfetta. Una condizione necessaria per imparare a menadito l’esecuzione dei grandi dessert della tradizione italiana, perché la pasticceria da ristorazione è una cosa seria. Dopo, e solo dopo la conoscenza profonda e la manualità disinvolta, potrete esprimere tutta la vostra personalità, andare alla ricerca di uno stile che sappia interpretare in modo unico una crostata di fragole, una banana split o una caprese. Che sono proprio alcuni dei dessert che tengo in Carta in questo momento a Villa Crespi. Io cerco di andare a cogliere l’essenza per poi valorizzarla a modo mio. Classico sì, ma il classico che voglio io. Perché le Cinquecento che fanno oggi non c’entrano nulla con quelle che facevano una volta: hanno l’airbag e i sedili riscaldati. Bisogna stare al passo coi tempi.

Ad esempio, all’aspetto il nostro bunet ha ben poco della preparazione classica piemontese. Non lo riconosci perché abbiamo eliminato la sua consistenza gelatinosa, lavorando a lungo su quella che per noi è la parte più buona: il fondo, il caramello. Abbiamo concentrato ed elevato all’ennesima potenza il suo lato migliore. La nostra caprese somiglia invece molto a un pandispagna al cioccolato ed è servita su un piatto nero, con una cupola di cioccolato. Una caprese che c’è ma non la vedi.

Attenzione però all’ultima avvertenza: ogni dolce, per quanto galattico, deve avere la strada spianata da un pre-dessert perché un piatto di passaggio tra il salato/caldo e il dolce/freddo è quanto mai necessario. C’è sempre bisogno di qualcosa di fresco che dia una bella svegliata alla bocca, dalla lingua fino alla gola e più giù. Una pietanza di transito che prepari alla goduria finale. Al dolce che ti fa dire wow! Che ti fa alzare con la voglia di tornare l’indomani.


Antonino Cannavacciuolo, classe 1975, originario di Vico Equense in Penisola Sorrentina, comincia giovanissimo una lunga gavetta nel Napoletano. Nel 1995, le prime esperienze sulle rive del Lago d’Orta. Dopo un’importante parentesi al Quisisana di Capri, ritorna in Piemonte per poi iniziare due stage fondamentali in Francia, nelle cucine dell’Auberge de l’Ill di Illhaeusern e Buerehiesel a Strasburgo, entrambi 3 stelle Michelin. Nel 1999, con la compagna Cinzia Primatesta rimette in sesto Villa Crespi a Orta San Giulio. Quindici anni dopo, il ristorante del Relais & Chateaux, 2 stelle Michelin, è tra le più solide certezze della cucina italiana.

 

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